Ho un debole, io. E questo debole si chiama Isabel Allende. Se mi chiedessero a quale scrittrice vorrei assomigliare, non avrei dubbi in proposito. Innanzitutto perché è donna e scrive di donne, e questa è una cosa che amo.
Amo che si parli del nostro universo, che si cerchino le differenze fino poi a ritrovarvi dentro delle somiglianze. Amo che si cerchi di mettere in luce i nostri difetti e i nostri pregi, le nostre debolezze e la nostra forza. E poi amo la solidarietà femminile, amo gli artigli che sfoderano a volte le donne, per difendersi a vicenda. Perché, checché se ne dica, io credo che non siamo poi così cattive e competitive le une con le altre come tutti vogliono farci credere e come, talvolta, finiamo per credere noi stesse.
La Allende è una scrittrice cilena, autrice di numerosissimi libri diventati tutti (o quasi) dei bestsellers. Il suo maggior successo è senza dubbio il romanzo d’esordio, “La casa degli spiriti”, che venne pubblicato nel 1983. Si tratta del primo di una trilogia, completata da “La figlia della fortuna” e “Ritratto in seppia”, che narra le vicende di una famiglia cilena, i Trueba-Del Valle, di cui la Allende ci regala un meraviglioso affresco dal sapore sudamericano.
Ogni protagonista è sapientemente descritto e sondato, e psicologicamente e fisicamente: dal rude capofamiglia Esteban all’eterea moglie Clara, donna che è presenza silenziosa e magica in ogni istante del racconto, alla loro figlia Blanca, giovane ribelle, idealista e innamorata, alla nipote Alba, ragazza testarda e coraggiosa, amatissima dal nonno che riversa su di lei il suo amore, quello che la sua scontrosità, la sua incapacità di esprimere i propri sentimenti e la sua testardaggine gli avevano impedito di mostrare prima a sua moglie e a sua figlia poi.
E’ la storia di un uomo, si, ma è anche e soprattutto la storia di tre donne, di tre generazioni differenti, di tre tempi e modi diversi di vivere. Ed è anche la storia di come quest’uomo si confronta con ognuna di loro, nelle varie stagioni della sua vita.
La Allende cattura immediatamente l’interesse di chi legge perché riesce a condurti tra le sue pagine come se ti tenesse per mano, accompagnandoti ad ogni passo, mentre osservi le insolite vite di questi insoliti personaggi. E ti pare di respirare la loro stessa aria, di sentire l’afa del sole del Cile, di camminare su quelle strade polverose, e ti pare quasi di vedere Clara, quasi evanescente, paziente, che ti viene incontro coi suoi grandi occhi pieni di parole.
C’è qualcosa di magico nel modo in cui Isabel Allende scrive, nel modo in cui riesce a farti sembrare familiare ognuno dei protagonisti, nel modo in cui ti risveglia dentro il calore della terra in cui è nata, nel modo in cui ti fa sentire tue radici che, in realtà, non lo sono.
Il film è stato realizzato circa dieci anni dopo la pubblicazione del libro, nel 1993 e, nonostante sia un film un po’ datato, a me è piaciuto molto e ho trovato superba l’interpretazione di Meryl Streep nel ruolo di Clara.
Gli altri due libri della trilogia narrano le vicende di Aurora e Eliza, altre due donne appartenenti alla grande famiglia Del Valle. Si tratta di romanzi che è possibile leggere senza seguire un ordine temporale rigoroso poiché gli avvenimenti raccontati nel primo, nel secondo e nel terzo hanno in comune soltanto il fatto che le protagoniste indiscusse sono donne, e che queste donne appartengono alla stessa famiglia, benché a generazioni differenti.
Tra le opere che più amo della Allende e che vi consiglio vivamente, oltre a questa trilogia ovviamente, ci sono: “Eva Luna”, “Il piano infinito”, “La città delle bestie”, “Inès dell’anima mia” e “Paula”.
Il mio cuore appartiene a “Paula”, però. L’ho letto che avevo solo quindici anni e mi ha segnato davvero tanto.
Leggetelo, perché sono sicura che capirete un po’ di più questa grande scrittrice, che assieme ad ogni parola, ogni volta, ci regala un pezzetto di sé.